Ivo Andric è stato uno scrittore di livello eccelso: non si spiegherebbe diversamente l’assegnazione a suo favore del premio Nobel per la letteratura del 1961. Al centro della sua poetica non possiamo che rintracciare il tema della multiculturalità e l’ideale di integrazione tra razze e culture differenti.
Il suo capolavoro, Il ponte sulla Drina, mette del resto fianco a fianco il mondo musulmano, quello cattolico e quello ortodosso. Queste tre realtà hanno convissuto in Bosnia dall’epoca della dominazione turca, siamo intorno al XVI secolo, sino all’epilogo della Prima Guerra Mondiale, quindi sin quasi ai giorni nostri.
Una tematica del genere non ci stupisce più di tanto quando si parla di Ivo Andric. Del resto il letterato svolse per qualche anno anche le mansioni di ambasciatore e visse per tutta la sua vita proprio in questo contesto multietnico.
Un romanzo in parte autobiografico
L’origine di questo romanzo è da collocare nel periodo fosco e cupo della Seconda Guerra Mondiale. Ivo Andric all’epoca viveva a Belgrado in una sorta di esilio intellettuale. Il racconto è ambientato in una ridente cittadina sorta dei pressi del fiume Drina, Visegrad. Proprio questa località è oggi considerata il confine ultimo tra la Bosnia e la Serbia, terre un tempo unite sotto un’unica bandiera.
Già da queste poche nozioni traspare prepotente il vissuto dell’autore. Egli trascorse nella cittadina di cui sopra gran parte della sua infanzia. Orfano di padre e proveniente da una famiglia molto povera, il piccolo Ivo per sopravvivere dovette accettare di separasi dalla madre e di andare a vivere dagli zii che abitavano proprio da queste parti.
Visegrad indubbiamente dovette segnarlo parecchio e nel profondo. All’epoca qui convivevano più o meno pacificamente uomini di razze e credi religiosi alquanto differenti. Crocevia di questa società multietnica era lo storico ponte sul fiume Drina con le sue colossali arcate. Proprio intorno a questo ponte si snoderà poi l’intera vicenda narrata nel romanzo.
Scrisse il ponte sulla Drina
Il romanzo, databile 1942/1943 segue a parecchi racconti brevi, unico genere letterario in cui l’autore si è fino a questo momento cimentato. Il ritmo della narrazione è molto lento, ciononostante la prosa si caratterizza per una certa incisività. La periodizzazione del racconto è abbastanza ampia ed abbraccia un lasso temporale che va dal 1500 al 1918.
Non è esagerato affermare che il protagonista dell’intero romanzo è proprio il ponte. Esso, costruito nel ‘500 per volere di Mehmed Pasa Sokolovic, sembra quasi raccontarci una lunga storia fatta di convivenze ora difficili ed ora armoniche tra etnie e religioni differenti. Mehmed comandò la costruzione del ponte soltanto dopo essere diventato visir di Visegrad. Prima di quel momento il poveretto non era che un ragazzino rapito dalla sua casa e quindi condotto ad Istanbul. Qui venne costretto alla pratica militare ed a intrattenne dei rapporti con il sultano. Quanto gli successe non era poi una stranezza: il devsirme, ossia la pratica dell’arruolamento forzoso, era sotto il governo ottomano una prassi.
Ivo Andric, aldilà di tutti i giudizi etici e morali sull’accaduto, riesce a trovare nel rapimento del ragazzino un lato umano, lato umano che emerge con una certa prepotenza nei tanti racconti che vedono protagonista il ponte. Poco alla volta ci si svela così anche la storia di Visegrad e persino di quel crocevia culturale che fu la Bosnia.
Il significato del romanzo
Per molto tempo si è riscontrata nella critica letteraria la tendenza a giudicare Il ponte sulla Drina un compendio di vicende storiche tutte incanalate verso quel tragico momento in cui l’ex Jugoslavia venne squarciata da una lotta intestina tradottasi infine nella frammentazione dello stato. Intendiamoci: il conflitto ebbe luogo negli anni ’90 ed Andric morì nel 1975: si sono intraviste insomma in questo scritto le ragioni culturali e le premesse che hanno portato allo scoppio di questa guerra fratricida, ma non ovviamente delle previsioni.
L’interpretazione del testo appena fornita in ogni caso non è del tutto corretta. Ricordiamoci che ciò che ad Andric più premeva sottolineare era il racconto della convivenza multietnica, convivenza a volte pacifica e solidale, altre volte tormentata e burrascosa. Il ponte, fermo lì a guardare lo scorrere della storia, è l’elemento caratterizzante della città, una testimonianza solida ed incrollabile della storia di Visegrad, un simbolo che comunque non può essere definito come appartenente ad una o all’altra etnia che qui vive. Musulmani, ortodossi e cattolici sono perciò tutti idealmente uniti da questo ponte dove non a caso hanno spesso luogo eventi che amalgamano la popolazione.
Non è un caso nemmeno che, quando il racconto volge ormai al termine, il ponte venga quasi raso al suolo e che in concomitanza di questo accadimento le tre etnie che da secoli convivono a queste latitudini ricavino soltanto pessime conseguenze. Il ponte insomma è un collegamento tra popolazioni balcaniche diverse ma capaci di convivere, più in grande diventa invece simbolo di fratellanza tra i popoli del mondo.