“Pleonastico” è una parola che in tanti hanno sentito sicuramente pronunciare senza però magari capirne l’esatto significato. Questa reazione è, almeno entro certi limiti, più che comprensibile. Il termine è utilizzato soprattutto dagli studiosi di lettere, dagli scrittori e dai poeti. Si tratta insomma di una parola di gergo, settoriale e comunque appartenente ad un registro linguistico colto e specializzato.
Questo non significa però che i non addetti ai lavori non possano capirne il significato.
Pleonastico significato
Il pleonasmo è una figura retorica. Gli scrittori ricorrono a tale artifizio linguistico quando desiderano enfatizzare un concetto che renda ancora più evidente la presenza di un dato oggetto all’interno di una descrizione.
In poche parole il termine, di chiara origine greca, può indicare un eccesso linguistico che mette in campo parole ridondanti e superflue. Chiaramente questa figura retorica non troverà mai spazio in un discorso sintetico ed essenziale o poco incentrato sulla persuasione oppure ancora non pensato per focalizzare l’attenzione su un dato elemento del discorso.
Nella nostra lingua il termine in questione fa la sua prima comparsa intorno alla metà dell”800 nonostante si parli di pleonasmo già dal ‘500. Questo non significa però che tali espedienti linguistici non fossero già ampiamente diffusi tanto nella produzione scritta quanto in quella orale precedente. Uno dei primi esempi in volgare letterario risale a Francesco Petrarca (“me medesmo meco mi vergogno” dove l’attenzione viene focalizzata sul poeta dato che il verso in italiano moderno suonerebbe più o meno come “di me stesso con me stesso mi vergogno”). Questa figura grammaticale, in epoca successiva, venne utilizzata con una certa frequenza da Alessandro Manzoni e da Cesare Pavese.
Per quanto riguarda la lingua orale tutti noi ricorriamo spesso al pleonasmo. Non è difficile infatti che nel linguaggio parlato ci si lasci andare a frasi quali “entra dentro”, “esci fuori”, “a me mi” e così via. Chiaramente queste forme, pur non essendo del tutto sbagliate dal punto di vista grammaticale, sono da evitare in contesti formali e scritti, a meno che non siate degli illustri letterati legittimati alla licenza poetica.
Pleonastico: quando si usa?
Il pleonasmo può essere utilizzato in un contesto informale in cui ci serve ottenere un certo potenziamento espressivo delle nostre parole. Per lo stesso motivo, se magari voleste dedicarvi alla scrittura creativa, lo potreste adoperare se i vostri personaggi comunicano con un linguaggio popolare. Questa figura retorica funziona bene anche in contesti umoristici e teatrali in cui si intenda evidenziare una data situazione, una convinzione del personaggio o addirittura un certo sentimento.
Da pleonasmo deriva l’aggettivo pleonastico. Nella lingua comune è utilizzato dai più colti per indicare delle azioni superflue, delle argomentazioni ridondanti, degli scritti sovrabbondanti e così via.
La costruzione del pleonasmo si avvale di avverbi, pronomi, particelle pronominali e vocativi. Può essere strutturato in modo da sposarsi perfettamente con periodi ipotetici che rimandino al concetto di immaginario o immaginato.
Pleonastico: sinonimi e contrari
Come a questo punto sarà facile intuire per il lettore, la parola “pleonastico” trova degli efficaci sinonimi in termini quali “sovrabbondante”, “ridondante”, “eccessivo”, “eccedente”, “superfluo” e simili.
Suoi contrari, per ovvia deduzione, saranno invece “essenziale”, “utile”, “lineare”, “coinciso” e via discorrendo.